29.3.15

Cosa ho da offrire, di valore, alla mia comunità?

In questo particolare momento storico-sociale moltissime persone stanno rielaborando delle nuove strategie e modalità professionali, per adattarsi a dei mutamenti strutturali e culturali che obiettivamente stanno trasformando radicalmente la nostra vita quotidiana, nonché la nostra stessa concezione del lavoro. Per tanti di questi, la riflessione e il cambiamento sono partiti da una considerazione: il lavoro non c'è più, e se c'è rasenta lo sfruttamento, i guadagni sono ridicoli, mi ci rovino la salute, non riesco ad avere una vita personale, dire che i miei diritti sono calpestati è dire poco, tanto vale che mi dedico a ciò che mi piace! Perfetto, è pur sempre un punto di partenza; con scarsa coscienza di sé e del mondo che ci circonda, ma facciammo pur sempre un passo alla volta, giusto? Ok.

Deciso ciò, il che pure rappresenta una svolta epocale nella vita dell'individuo e della società, nel confronto con la realtà ci si imbatte in una circostanza ben specifica: il lavoro non deve soltanto piacere, ma deve anche funzionare, sotto una serie di punti di vista diversi contemporaneamente, e non solo in fase di partenza, ma più o meno tutti i giorni, per anni e anni! Qui tante persone si incastrano, ed entrano in un limbo in cui si rischia di rimanere per un tempo eccessivo.

Perché un'attività professionale si trasformi in una vera e propria carriera, è necessario che alla base ci siano non solo un piacere o un ideale, ma una vera e propria vocazione. Essa è un sentimento, una missione, è un vissuto assolutamente spirituale, è un richiamo dell'anima, come quello che sentono, per esempio, i monaci, i missionari, le madri e le insegnanti. Non si tratta di mero piacere infantile (c'è anche quello, ma non è la parte preponderante, e tutto sommato, talvolta può anche non esserci): è cosa sono venuto/a a fare io sul pianeta Terra. Chi non vive questo richiamo interiore, semplicemente non può costruirsi una carriera, oppure può farlo con una buona dose di sofferenza e conflittualità, e onestamente io non lo auguro a nessuno.

Posto, quindi, che numerosissime persone vivono delle resistenze pazzesche rispetto alla spritualità, qualche piccolo stimolo per delle semplici e intime riflessioni è pur sempre possibile raccoglierlo, perciò io vi pongo queste domande:
1) Qual è quel messaggio, quell'attività, quella missione che voi portate avanti al di là del lavoro, con spontaneità e naturalezza, nel corso della vostra vita quotidiana? Per esempio, vi ritrovate di continuo a dar consigli amorosi agli/alle amici/he? State sempre costruendo o riparando qualcosa? Appena avete 2 ore libere, vi mettete a guardare un bel film? Beh, sicuramente la vostra vocazione ha a che fare con questo!
2) Come ciò che esprimete, dite e fate contribuisce alla vita di chi vi sta intorno, arricchendola? Spesso neppure ce ne rendiamo conto, ma questo succede di continuo; è tristemente possibile che nessuno ce lo faccia notare, che noi stessi ci sminuiamo, ma se osserviamo bene la realtà che ci circonda, sicuramente ritroviamo il segno che noi stessi/e vi imprimiamo, migliorando la giornata a qualcuno, permettendo che esista un prodotto/servizio che facilita la vita di molte persone, o donando spunti, ispirazione e supporto a chi ne ha bisogno. La vocazione ha profondamente a che fare con il valore che solo noi possiamo portare all'interno della nostra comunità, come esseri umani unici, insostituibili e importanti.
3) Quali sono le competenze tecniche, gestionali, relazionali, psicologiche e spirituali che dovete acquisire per far sì che il vostro sentimento diventi un progetto sostenibile nel tempo? Già, perché io posso essere portatrice del valore più inestimabile che riesco a immaginare, ma se non mi metto nelle condizioni di tramutarlo in realtà, di concretizzarlo nella forma più congeniale alla società attuale, e di organizzarlo in modo tale che mi dia uno stipendo e che nel tempo possa crescere, svilupparsi e prosperare, se non mi rimbocco le maniche per rendere possibile tutto ciò, il mio sogno resterà un sogno, e la mia vocazione, ahimé, sarà stata vana, per me stesso/a e per la mia comunità – il che, naturalmente, è molto triste.

Ricordatevi: quella perla che avete nel cuore è preziosissima, e se non la portate voi nel mondo, nessun altro potrà farlo, priverete tutti del suo valore, così come priverete anche voi stessi della gioia e della ricchezza che nascono dal condividerla. Volete veramente sprecare questa opportunità?


Ilaria Cusano

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