11.3.15

"Le leggi del desiderio" e il curioso personaggio del Life-Coach

Qualche giorno fa sono andata al cinema a vedere "Le leggi del desiderio", l'ultimo film di Silvio Muccino. Al di là della mia passione per il cinema, ero molto curiosa e divertita dalla circostanza, poiché il protagonista del film fa la professione del Life-Coach; avevo, quindi, l'opportunità di scoprire qual è la percezione che si ha, a livello di massa, della mia professione, come la coscienza collettiva filtra e codifica un'informazione tutto sommato ancora piuttosto innovativa, in Italia. L'esperienza, infatti, è stata oltremodo istruttiva, al riguardo, nonché, devo dire, assolutamente incoraggiante.

Innanzitutto, sono dell'opinione che, nel film, i personaggi principali siano costruiti molto bene, sia perché rappresentano delle tematiche effettivamente importanti nell'attuale società italiana (come il ruolo della donna, la concezione del lavoro e la vita dopo i 60 anni), sia perché sanno esprimere con equilibrio e onestà la luce e l'ombra dei vari soggetti in questione.
Partiamo dal Life-Coach (Silvio Muccino): un trentenne di successo, amato e odiato per questo, sicuramente incompreso. Un soggetto capace, motivato, grintoso e obiettivamente generoso - spesso chi fa dell'aiuto al prossimo la propria professione lo è; una vita, tuttavia, che dimostra come tali abilità non si raccolgano nel giardino, ma si maturino tramite esperienze intense e spesso dolorose - per lui, una madre assente e un padre con seri problemi psichici, che nel corso della vita l'avevano costretto a crescere in fretta, a diventare forte e a trovare dentro di sè tutte le risorse di cui c'era bisogno. Anche troppo, nel senso che tale atteggiamento di forza, indipendenza e solitudine, nel corso del film, viene mostrato anche in tutti i suoi limiti: la difficoltà ad aprirsi ai sentimenti, ad affidarsi a qualcun'altro e a fare i conti con la propria vulnerabilità.
La protagonista femminile (Nicole Grimaudo) rappresenta perfettamente il tranello in cui si rischia di cadere, nel Coaching: fingere, permettere alla maschera di soffocare l'essenza, fare la tigre piuttosto che diventarlo davvero, operazione che richiede tempo, coraggio e, talvolta, un cambiamento di comportamento (non di natura, ma di comportamento) radicale. Una donna incastrata nello schema che spinge a fare della propria esistenza un eterno tentativo di compiacere un uomo, finendo con il dimenticare la propria vera natura, in questo, e col perdere tutta la dignità e l'amor proprio; alla fine, la salvezza tramite la delusione, la frustrazione e la rabbia, che spingono a reagire, a chiedere di più, e/o di meglio, alla propria vita.
Lei assieme a lui, il Life-Coach, in una storia d'amore, secondo me rappresentano la riunificazione della parte debole con quella forte, del cuore con la testa, della fragilità con la potenza: il lato forte di ognuno di noi, che serve per proteggere e preservare quello tenero, perché diversamente, quest'ultimo viene annientato dalle difficoltà della vita, dai dolori e dalle ingiustizie.
L'altra protagonista femminile (Carla Signoris), a mio avviso, mostra il dramma, interiore e sociale allo stesso tempo, di migliaia di donne sottomesse agli uomini e a un sistema ancora troppo a misura d'uomo; donne che scelgono questo destino con la loro stessa volontà, e che nel frattempo, nella migliore delle ipotesi, dentro di sè coltivano un'altra personalità, portatrice della propria vera natura, una Misses Hide che a un certo punto esplode, che vuole venire a galla ed essere amata tanto quanto la Dott.ssa Jekyll. La tragedia di migliaia di mogli e di madri che si mettono da parte, abnegandosi, annullandosi, ed effettivamente sbagliando, rispetto a se stesse, ai figli e anche ai mariti. Mariti: uomini abituati a godere di troppi privilegi da troppo a lungo nel tempo, talmente egocentrici da non rendersi neppure conto del livello reale del proprio narcisismo, del
proprio fallimento dal punto di vista sentimentale e affettivo - perché un amore condizionato non si può definire tale, e se l'unica maniera in cui si è capaci di amare è questa, la verità è che non si è mai diventati uomini, si è rimasti bambini. Uomini per cui, nella migliore delle ipotesi, inizia una lunghissima quanto rivelatoria era di grandi rinunce, in casa, nella società e a letto; nella peggiore, il crollo di qualsiasi costruzione a cui si è dedicata la vita intera, nonché la prospettiva di una solitudine che potrebbe non terminare mai.
L'ultimo protagonista maschile (Maurizio Mattioli), infine, nel ruolo di un sessantenne disoccupato, un uomo che, da una parte, si muove contro-corrente, desiderando continuare, nonostante l'età, a vivere, a credere in se stesso, a lavorare con passione e a godersi le gioie dell'esistenza; mentre, dall'altra parte, mostra tutti i limiti di una società (e di un'identità costruita a sua misura) incapace di valorizzare la vecchiaia, di abbracciarla con dignità, di accettarla mantenendo il rispetto di se stessi ed essendo coscienti dei nuovi limiti ed equilibri che tale condizione psico-fisica implica.


"Le leggi del desiderio" mostra quelli che criticano l'impulso all'evoluzione stessa, i veri vecchi, i vecchi dentro, che in sostanza si dividono tra coloro che sguazzano nella melma e che vogliono continuare a farlo, e tutti quei furboni che si sono sempre approfittati di questi ultimi, e che non possono continuare a farlo, nella misura in cui essi si emancipano, si liberano e maturano. "Le leggi del desiderio", però, mostra anche i limiti della mitica legge dell'attrazione: 1) un desiderio che non nasce dalla volontà, infatti, ma che preesiste rispetto ad essa; un desiderio che non si può decidere razionalmente, ma solo accettare, abbracciare e onorare. 2) Il fatto che non basta desiderare; bisogna anche avere fede nel fatto che ciò che si desidera è bene, anche se razionalmente non lo si pensa e/o capisce. 3) La consapevolezza di una realtà magica, disarmante e sconvolgente: ciò che vogliamo attrarre c'è già, fa già parte della nostra vita, e finché non ce ne rendiamo conto nessuna tecnica funziona, perché il punto, nel Life-Coaching, non è imparare una tecnica (quello c'è, ma è secondario), il punto è imparare a vivere.


Ilaria Cusano

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